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Vabbe’, in macroeconomia è impossibile fare le previsioni. Ma riusciamo, almeno a posteriori, a capire l’accaduto? Pare proprio di no.

Infatti, non solo

Un economista è un esperto che domani saprà perché le cose che aveva previsto ieri per oggi non si siano verificate. [L.J. Peter, 1975]

Ma, addirittura:

Se tutti gli economisti venissero distesi uno dopo l’altro, non raggiungerebbero alcuna conclusione. [G.B. Shaw, 1933]

Se il figlio diventa uno spiantato o un inguaribile drogato, i genitori, anche esaminando le scelte passate, non sempre riescono a ricostruire l’accaduto e capire cosa si è sbagliato.

Così accade anche in economia, una scienza che, oltre a essere estremamente complessa, non è una scienza perché le manca il lato sperimentale.

Le scienze galileiane (fisica, chimica, biologia…) organizzano esperimenti controllati per testare la validità o meno delle teorie. All’economia, specie la macroeconomia, questo privilegio è quasi sempre precluso. Non possiamo, oggi, far fallire la Grecia per vedere quali sarebbero gli impatti (intorno ai quali si discute senza accordo da settimane)…

Questa limitazione è fatale. Posso far cadere una mela dall’albero per vedere se e quanto Newton aveva ragione. Posso pensare di misurare se la luce delle stelle viene per caso flessa dalla Luna, per vedere se e quanto la teoria della Relatività Generale è corretta. Ma in economia gli studiosi sono fermi allo stadio che, nelle scienze oggi galileiane, era quello dei fisici greci 2500 anni fa: osservare il mondo passivamente per vedere se accade qualcosa che corrobora le mie ipotesi.

L’atteggiamento speculativo e inattivo può indurre gravi distorsioni, come infatti accadde alla fisica fino a Galileo.

Una di queste distorsioni è che, mentre siedo e aspetto conferme alla mia splendida teoria, eventuali accadimenti del mondo reale che potrebbero suonare come smentite io li ignoro oppure li classifico come “mostri“: un po’ come accadde ai pitagorici quando Ippaso di Metaponto si accorse che il rapporto tra la lunghezza della diagonale di un quadrato e quella del lato era un numero con infinite cifre decimali.

L’atteggiamento puramente speculativo e l’impossibilità di avvalersi dell’approccio sperimentale sono i macigni che gravano sul dorso dell’economia e fanno sì che tante delle discussioni tra economisti finiscano col suonare grottesche, come quando, dopo la crisi dell’autunno 2008, si discusse per mesi circa come fossero effettivamente andate le cose nel ’29 (circostanza sulla quale, manco a dirlo, la comunità scientifica economica è discorde).

La non scientificità (che non significa dilettantismo o incompetenza, ma solo una limitazione metodologica) è quella che rende l’economia oggetto di barzellette e battute da sempre, nonostante essa sia zeppa di studiosi di immenso talento e, specie durante il Novecento, abbia importato e spesso ideato teorie molto sottili e apparati matematici di enorme sofisticazione.

Anche le scienze galileiane della natura hanno branche che si trovano in condizioni analoghe. Per esempio, la climatologia è un dominio ricco di comportamenti emergenti (ossia di fenomeni inspiegabili sulla base di leggi fisiche fondamentali) e deprivato della possibilità di organizzare esperienze empiriche controllate.

Possiamo osservare i fenomeni, persino quelli verificatisi milioni di anni fa (per esempio carotando i ghiacci del Polo). Ma non possiamo scatenare El Nino o organizzare un ciclone per scopi sperimentali.

E infatti, quello è un campo nel quale le discussioni non mancano, con l’aggiunta di noiose distorsioni indotte dalla politica, proprio come accade in economia.

Ma c’è una sottile, eppure decisiva differenza con l’economia. La climatologia siede su discipline sottostanti (fisica, chimica, biologia) che sono permeate dello spirito galieiano. La macroeconomia, invece, poggia solo sulla matematica (che è uno strumento, un linguaggio; non una scienza galileiana) e su teorie assiomatiche poco o punto sorrette da dati empirici.

La razionalità degli agenti economici, la naturale efficienza del mercato e la “mano invisibile” di Adam Smith sono esempi di impostazioni sostanzialmente assiomatiche dell’economia, ossia assunte come ipotesi di lavoro e mai testate con esperimenti controllati.

Esse sono state messe in discussione sia da lavori teorici sia da risultati empirici di laboratorio, come ad esempio quelli provenienti dall’economia comportamentale (un bel blog che segnala spesso queste lacune è quello di Alessandro Cravera).