napalm51Ne abbiamo parlato qualche anno fa.

E adesso la cosa sta approdando sui media italiani: “La scienza vive un’epidemia di studi inservibili”, portale Aduc, 11.1.2017.

Insomma, tra poco anche in Italia tutti sapranno che «l’85 percento degli sforzi dedicati a ricerche biomediche sono solo uno spreco»; che molti studi «non apportano niente di valido o, peggio, procedono facendo riferimento ad interpretazioni statistiche preconcepite e che non sono certe»; che questi sono autoinganni «che [possono] moltiplicare la quantità di falsi positivi»; che «non dobbiamo dimenticare il ruolo complice […] di riviste importanti, che preferiscono pubblicare risultati […] che provocano molto rumore e impatto, prima di assicurarsi e verificare […] l’affidabilità degli stessi».

Sono tutte parole di scienziati, i quali ormai riconoscono che c’è una dilagante crisi di riproducibilità nelle scienze della vita. Ossia: in medicina e biologia si pubblicano un’infinità di esperimenti che nessuno scienziato riesce a verificare.

La possibilità di rifare, o almeno riprodurre, un lavoro scientifico pubblicato da altri, è uno dei pilastri fondanti della scienza: se salta questo vincolo, allora si cade nel ciarpame, fra Stamina e Nature non c’è più differenza.

Questo problemino, al quale occorrerà metter mano alla svelta anche se non sarà facile, esplode proprio nel momento storico in cui la fuffa anti-scientifica di provenienza pop o commerciale è forse a un massimo: creazionismo (che Trump vuole rivitalizzare), no-Ogm, no-vaccini, no-glutine, Stamina, e così via.

Tra poco, i propalatori per interesse di notizie farlocche avranno una formidabile freccia al loro arco: se la maggior parte degli studi scientifici sono infondati, chi impedisce a chicchessia di metter su un blog o un giornale in cui si discetta di medicina?

E la moltitudine dei webeti che «si informano in rete» e cascano in ogni sorta di imbroglio, gli faranno un’immensa eco. Non è una prospettiva incoraggiante.

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