Per aver spiegato a Beppe Severgnini, che incontra frotte di italiani in giro per il mondo e ne ricava la sensazione che gli Italians siano tutti fuori, che se egli fosse tedesco, svizzero od olandese incontrerebbe più connazionali (cfr qui circa Londra e qui più in generale), sono occasionalmente bersagliato da gente che, in preda a grave strabismo statistico, mi vuole spiegare che i poveri ragazzi italiani sono tutti all’estero, dove fra l’altro mietono solo successi.
Su cosa si basano i miei corrispondenti? Su senzazioni personali, su conoscenza occasionale e aneddotica, su pre-giudizi, e soprattutto sull’ignoranza di quel che accade negli altri paesi.
Amici: la conoscenza (del cui nome abusate pur senza, a volte, frequentarne la casa) inizia con la misura e con gli esperimenti controllati e ripetibili. Circa l’argomento di cui stiamo parlando, misura significa statistica e raccolta sistematica e rigorosa di dati. E la statistica procede secondo sue leggi che poco hanno a che fare con quel che noi individualmente vediamo attorno al nostro naso, e che spesso coincide con quel che noi vogliamo vedere e non già con la realtà.
Secondo ogni evidenza empirica controllata disponibile alla data (vide infra per una bibliografia), la «fuga dei talenti» è una manfrina giornalistica, inaugurata dalla pelosa lettera di Pierluigi Celli nel 2009 e da allora riprodotta noiosamente da persone male informate cacciatrici di luoghi comuni e titillatrici del nostro pernicioso mammismo.
La gente gira il mondo perché il mondo è fatto così. Ed è bello, non brutto, che così sia. (Siano fatti salvi profughi sui barconi e valigie di cartone, bien entendu).
Vi sfido a trovare una fonte sociologica o economica seria che attesti la maggiore propensione degli italiani a emigrare. Perché, sapete, qui per il momento risulta che i giovani italiani, con e senza laurea, emigrino meno della media OCSE e persino di quella europea. E forse essi dovrebbero emigrare di più, per il bene loro e del nostro paese, perché quei pochi che tornerebbero non potrebbero che contribuire a migliorarlo. (Questo riguarda sia gli accademici sia la highly-skilled workforce in generale).
I problemi che ci contraddistinguono, semmai, sono (A) la difficoltà di tornare, vista l’ingessatura del sistema Italia, familistico e gerontocratico, e (B) la difficoltà di attrarre talenti dall’estero.
Se qualcuno di voi reperisse un dato scientifico, non meramente giornalistico o aneddotico, che contraddice quanto da me qui sopra riferito con dovizia di documentazione, sarò felice di rivedere la mia convinzione in materia: ossia che noi italiani siamo mammoni che, pur emigrando meno degli altri, ce ne lamentiamo in continuazione; che dovremmo emigrare di più; e che dovremmo batterci per creare le condizioni che agevolino il ritorno e l’afflusso degli stranieri.
Bibliografia
(1) World Bank Data Viz 2012 – The Global Brain Trade (tratto da Franzoni C., Scellato G., Stephan P., Foreign Born Scientists: Mobility Patterns for Sixteen Countries, Nature Biotechnology, 30(12):1250-1253, 2012)
(2) US NSF Science and Engineering Indicators 2012, pag. 3-49
(3) Aspen Institute 2012
(4) OCDE, International Migration Outlook SOPEMI 2010
(5) US NSF 2007
(6) L. Beltrame, “Realtà e retorica del brain drain in Italia. Stime statistiche, definizioni pubbliche e interventi politici”, Univ. di Trento, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Quaderno 35, marzo 2007