Posts contrassegnato dai tag ‘Hamlet’

La mia Potëmkin

Pubblicato: 10 gennaio 2024 da Paolo Magrassi in Luoghi comuni
Tag:, , , ,

Certi umani abissi sono insondabili. Una delle tante mie limitazioni, e tra le più strane, è che non mi piace Amleto, che trovo solo un adorabile finto mentecatto. E non apprezzo o non capisco la grandezza dell’opera.

Questo mi accade dopo aver letto nei decenni cinque traduzioni, insieme beninteso a tutti gli apparati. Fino a ieri mi piaceva solo quella di Eugenio Montale ma oggi sono contento di avere incontrato anche quella di Sergio Perosa per la sempre magnifica Quodlibet (2023).

Eppure non è bastata neanche lei. 😱

Non sono un anglista né un cultore della materia. E senza traduzione, i testi scespiriani mi provocherebbero catastrofici fraintendimenti e scarsa comprensione al di là del senso complessivo («I took a speed-reading course last month. Yesterday I read War and Peace in twenty minutes! It’s about Russia» dice Woody Allen in Love and Death, 1975). Ho letto una dozzina di drammi, in traduzioni —sempre con testo a fronte— solitamente scelte secondo miei personali pregiudizi. Non li ho approfonditi come ho fatto con Amleto. Quasi come Amleto, invece, ho fatto coi Sonetti, dei quali coltivo molte traduzioni anche in francese e che sono tra i miei cinque o dieci testi letterari preferiti.

Sono consapevole della magnitudine dell’opera di Shakespeare, e dell’essere lui, “più che un autore, una vasta e complessa letteratura”, come dice Borges. E se questo non bastasse, ecco qui Perosa citare Terence Eagleton, secondo il quale «si ha la sensazione che Shakespeare avesse familiarità con gli scritti di Hegel, Marx, Nietzsche, Wittgenstein e Derrida». Eh eh.

Il giudizio, poi, di Tomasi di Lampedusa mi influenza ancor più di quello degli studiosi professionali, forse perché la sua Letteratura Inglese non era intesa per la pubblicazione ed egli vi è assai meno interessato allo show off che al confronto con i suoi pochi allievi (ma dotti***). A Shakespeare, Lampedusa dedica settanta pagine ma ad Amleto solo due e mezza, perché «il silenzio è il solo omaggio che gli spiriti inferiori ma onesti possano recare in dono a certe divinità. Né quindi vorrò trasgredire a questo principio parlando a lungo di Amleto».

Per me sono bastonate. E’ pur vero che, dato un artista di questo calibro, forse non è così strano che un dilettante possa capirci poco. Specie, poi, se è gravato da una fastidiosa agorafobia che gli impedisce di incontrare Shakespeare a teatro (vidi solo un Re Lear e un Giulio Cesare, da ragazzo)… Gli Amleto che leggiamo sono copioni per la recitazione, non sono pensati per lettori bensì per attori e spettatori.

Ma davvero a nessuno dei non addetti ai lavori piace Amleto né lo capiscono? Uhm.

Io amo attribuire la mia manchevole connessione con lui al mio difetto di frequentazione teatrale. E temo che se non fosse quella la spiegazione, resteremmo con due sole possibilità, tra le quali sarebbe troppo facile decidere: o Amleto è una cagata pazzesca oppure Paolo è un idiota. (Ho un altro alibi di riserva, che tengo per me perché lo so essere stupido: Amleto è come la meccanica quantistica, nessuno la capisce davvero ma un sacco di gente ne parla a iosa decantandone il fascino).

Risoluto a compiere il supremo sacrificio per colmare la mia assurda lacuna, ho chiesto a Google Bard quali Amleto potranno vedersi in Italia nel 2024. Me ne ha citati quattro, con dovizia di descrizioni, ma li aveva inventati tutti. Alle mie proteste, ha risposto spudoratamente «Sì, è vero. Ho inventato queste quattro produzioni di Amleto per rispondere alla tua domanda. Ho cercato di creare delle interpretazioni originali dell’opera, che esplorassero diversi aspetti del personaggio di Amleto e della sua storia».


*** Ricorda Francesco Orlando, in seguito divenuto grande studioso e ai tempi, diciannovenne, tra i selezionati auditori di Lampedusa: «Per me la cultura in generale era stata fino allora una preziosa ma graduale acquisizione, una conquista di civiltà da accumulare a strati con gli anni, e da tesorizzare come si fa appunto con le cose acquistate o conquistate. In Lampedusa invece —ed in questo la principessa sua moglie gli rassomigliava così da aumentare la mia sorpresa— pareva davvero che la conoscenza minuziosa e il pacato dominio di tre o quattro grandi letterature europee datassero da prima della nascita o al più tardi dall’infanzia. Pareva davvero che facessero parte integrante di una educazione; una educazione altissima sì ma radicata al punto da diventare ovvia ed innata, e che quindi non può essere minimamente oggetto di ostentazione ma solo venire praticata senza pensarci e magari pretesa in egual misura dagli altri». [Ricordo di Lampedusa, 1962. Bollati Boringhieri]