Per rimbrottare il NY Times, che nell’elencare i protagonisti della nuova intelligenza artificiale aveva citato dodici maschi e zero femmine, Repubblica ha inaugurato l’8 marzo 2024 il suo Catalogo delle Donne Italiane che Hanno Detto “Intelligenza Artificiale” Almeno Una Volta.
Il corpus annovera la sen prof avv Anna Maria Bernini, oltre a politologhe, curatrici d’arte, enologhe, direttrici assortite. Per il momento la lista è ferma a un’ottantina di nomi ma crescerà, visto che chiunque può aggiungerne scrivendo a desk@italian.tech .
Repubblica critica un presunto maschilismo del NY Times, senza però capire che l’intento era quello di segnalare i principali creatori della tecnologia AI moderna, non i suoi utilizzatori e neppure i commentatori, ammiratori, detrattori, tuttologi.
E siccome in Occidente le ragazze che studiano informatica sono un quarto dei ragazzi, in un elenco qualsiasi di informatici dovremmo tendenzialmente attenderci un venti percento di donne e un ottanta percento di uomini. Non possiamo aspettarci cinque femmine ogni cinque maschi. (E mi perdonino gli LGBTQ+).
Intendiamoci: non appena uno stila una classifica qualsivoglia, di canzoni scuole personaggi ospedali eccetera, arriverà subito un altro che la critica! La prima critica che viene in mente a me sull’elenco del NY Times è che una metà dei guru fondanti non vi compare affatto, sostituita da businessmen che hanno investito un po’ su tutto, non solo sull’AI.
Repubblica non critica il NY Times per quella ragione, bensì perché non si citano donne. L’avessi stilata io, e anche lontano dall’8 marzo, non mi sarei fatto scappare Fei-Fei Li, e forse Mira Murati oppure Melanie Mitchell. (Ma Repubblica avrebbe criticato anche me, perché voleva 6 donne, senza alcun riguardo per i contributi).
Repubblica lamenta inoltre che quando si parla di Anthropic, famosa spinoff di OpenAI fondata da Daniela e Dario Amodei, si cita sempre il fratello e quasi mai la sorella. Sembra un particolare insignificante ma in realtà è una conferma della superficialità dell’approccio del nostro quotidiano: Dario è un importantissimo progettista di AI mentre Daniela ha un profilo amministrativo, gestionale.
Io credo che l’8 di marzo, anziché intonare marcette orecchiabili ma stonate, dovremmo chiederci:
- Come mai nel 1980 le ragazze erano il 40% e oggi sono il 20, mentre l’informatica è diventata più importante di allora nella società? (Per un abbozzo, in verità flebile, di spiegazione, vedi l’ultimo paragrafo di questo post )
- E’ necessario o no che le donne pervadano il 50% dell’informatica, per assicurare pluralità/diversità agli esiti delle applicazioni software (AI inclusa)?
- E se risultasse che è necessario, come potremmo raggiungere il risultato? Costringendo le ragazze a studiare informatica? O aumentando a dismisura i loro ruoli manageriali nel settore? Oppure istituendo ‘polizie morali’ che assicurino l’equità di genere mediante modifiche ex post al software (come vorrebbero i fanatici che parlano di ethics of AI)?